11 febbraio 2020
Le donne vivono più a lungo degli uomini, si ammalano di più, usano di più i servizi sanitari e vivono un maggior numero di anni in cattiva salute. Un dato di fatto, ormai, su cui non è più possibile chiudere un occhio. Gli uomini e le donne, dunque, pur essendo mediamente colpiti dalle medesime patologie, presentano sintomi, progressione di malattia e risposta ai trattamenti decisamente diversi tra loro. Differenza non misurabile solamente, ormai, in termini generici. A essere influenzate da tale disparità tra sessi, infatti, sono anche discipline specifiche, quali ad esempio, la farmacologia.
Per molto tempo, erroneamente, si è continuato a sostenere che non esistessero differenze importanti nel metabolismo dei farmaci in base al sesso e che le risposte ai trattamenti, riscontrate come differenze sesso-dipendenti, fossero tali da non richiedere aggiustamenti terapeutici. Fino ai primi anni '90 le donne erano escluse dagli studi clinici, e, pertanto, fino a poco più di vent'anni fa, le uniche conoscenze in ambito di farmacocinetica, farmacodinamica, efficacia e sicurezza dei farmaci erano riferite a organismi di sesso maschile.
Eppure anche le donne assumono farmaci, eccome. Anzi, dati alla mano, le donne ne consumano di più degli uomini, associandoli, per altro, più frequentemente. Si può e si deve, dunque, parlare a buon diritto di "Farmacologia di Genere". Il corpo maschile, infatti, metabolizza farmaci e sostanze in modo diverso da quello femminile e si suppone che in alcuni casi il farmaco abbia addirittura un meccanismo d'azione diverso nei due sessi.
L'ambito è vasto, dunque, e ancora in parte da esplorare. Facciamo il punto in occasione della giornata delle donne e delle ragazze nella scienza 2020, proclamata dalle Nazioni Unite e patrocinata dall'Unesco per ricordare che la partecipazione delle donne nella scienza dovrebbe essere rafforzata e incoraggiata e che devono essere garantite pari opportunità nella carriera scientifica.